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Garibaldi a Casamicciola, 150 anni dopo

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Gianluca Castagna | CasamicciolaGaribaldi è il Mito. L’italiano più popolare del suo tempo insieme a Giuseppe Verdi. Una fama che ha origini molto lontane, ma che intercetta il suo cuore pulsante quando parte la famosa spedizione dei Mille che da Quarto approda in Sicilia. Se fosse stato solo per gli accordi di Plombières del 1858 e per la battaglia di Solferino e San Martino dell’anno seguente, l’Italia si sarebbe formata come una confederazione di Stati presieduta dal Papa. Al Piemonte sabaudo bastava l’annessione della Lombardia per consentire a Cavour di costruire tutte le ferrovie che voleva fino a Venezia e ad Ancora.
E’ l’avventura temeraria di un grande genio militare come Giuseppe Garibaldi che improvvisamente rilancia il gioco, conquistando il Regno delle Due Sicilie. Protagonista assoluto dell’Ottocento, fu anche grandissimo comunicatore e antesignano dell’informazione, se è vero che la spedizione dei Mille è stata definita “la prima grande guerra mediatica”, seguita da fotografi e giornalisti di tutto il mondo.  Nelle pratiche prêt-à-porter del revisionismo storico che anima i dibattiti culturali nel nostro paese, è forse il personaggio del Risorgimento che meglio figura in quella sorta di capitale condiviso che dovrebbe essere la nostra memoria. Prevale su tutti, perfino sulla febbrile spiritualità di Mazzini.
Giuseppe Garibaldi ha soggiornato a Casamicciola per un mese intero. Centocinquanta anni fa. Dal 19 giugno al 19 luglio 1864. Per curare una fastidiosa ferita alla gamba, riportano le cronache. In realtà, per camuffare un’intensa attività politica e di consultazioni, in vista della realizzazione finale del suo progetto: l’Unità d’Italia. Giovedì sera è stato ricordato e festeggiato questo soggiorno casamicciolese con un corteo che, partito da Piazza Bagni, davanti all’Albergo Manzi (la prima dimora che ospitò il generale), ha attraversato Corso Garibaldi e Via Principessa Margherita, per arrivare in Piazza Marina, dove  interventi di carattere storico hanno ricordato l’Eroe dei Due Mondi. Chi fu, dunque Garibaldi? L’eroe che dedicò la vita a combattere per ideali di libertà e di giustizia oppure lo strumento inconsapevole di una trama di potere ordita da massoni e liberali per impossessarsi dell’intera Penisola?
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Nino D’Ambra, fervente ammiratore e studioso di Garibaldi, organizzatore di questa iniziativa che festeggia l’anniversario del soggiorno isolano da parte di un grandissimo protagonista della storia italiana e internazionale.
foto-1L’Unità d’Italia è stato il risultato di un processo lungo e complesso. A che punto siamo, di questa vicenda, quando Garibaldi arriva a Casamicciola nell’estate del 1864?
«Siamo a un punto decisivo. All’unificazione del Paese mancavano Roma e il Veneto. Grazie a una nave inglese, Garibaldi arrivò al porto di Casamicciola e rimase sull’isola un mese intero per concertare azioni strategiche e militari che completassero il processo di unificazione».
Eppure le fonti ricordano l’episodio come soggiorno termale. Invece – a quanto pare – fu l’occasione per incontri importanti con esponenti del mondo liberale e massonico, soprattutto a Villa Zavota alla Sentinella, lontani da occhi indiscreti.
«Giuseppe Garibaldi arrivò a Casamicciola nel 1864. Quasi vent’anni anni prima del terremoto epocale che l’avrebbe distrutta. Casamicciola era all’epoca una delle stazione termali più importanti d’Europa, ma in quei giorni si ritrovarono qui circoli, partiti, logge massoniche, movimenti, tutti coloro che in qualche modo erano determinati a portare a compimento l’Unità d’Italia. Vennero a visitarlo fino a 2000 persone al giorno. Naturalmente, sui giornali dell’epoca, fu messo in rilievo che lui doveva farsi i bagni termali. Una misura anche precauzionale, erano personaggi considerati sovversivi dallo Stato italiano, una sorta di Brigate Rosse. Non dimentichiamoci che avevano intenzione di occupare due stati stranieri: a Roma c’era il Papato e a Venezia gli Austriaci. Non era una cosa semplice, ecco perché i giornali parlarono soprattutto di cure termali. Fece anche quelle, ma principalmente raccolse le idee dei circoli e dei partiti per liberare Roma e Venezia, completando così l’unità del paese. Ecco l’importanza del suo soggiorno a Casamicciola».
Qual era il clima politico sull’isola? Come fu accolto dalla popolazione e che tracce scritte sono rimaste di questo soggiorno?
«Garibaldi fu accolto in maniera festosa. Tanto è vero che il trasferimento a Villa Zavota si rese necessario anche per assicurargli una maggiore privacy e tranquillità. Delegazioni, ammiratori, sostenitori, volevano incontrarlo a ogni costo. Lo slancio del popolo per l’unificazione fu molto forte anche sull’isola, era un personaggio popolare e amatissimo ovunque. Se qualcuno, in cuor suo, era dissenziente, lo tenne per sé, poiché manifestazioni di dissenso non ce ne furono. Girava poco, ma un giorno andò a Forio per una riunione con i militanti locali del Partito d’Azione.  Lo sappiamo perché esistono rapporti di polizia molto precisi da parte di Raffaele Manzi, funzionario incaricato dalla polizia sabauda di tenerlo d’occhio e fratello del suo primo ospite Luigi. Questi rapporti, allora secretati, sono usciti molti anni dopo e c’è praticamente tutto. Date e nomi. Ne abbiamo delle copie anche a Forio, al Centro di Ricerche Storiche D’Ambra».
Garibaldi 5Come mai il mito di Garibaldi è ancora oggi così forte, empatico e popolare? Fu forse il suo ribellismo, l’aspetto anche sovversivo della sua impresa, a garantirgli un appeal così duraturo?
«Non credo. E’ stato un uomo che ha vissuto per gli ideali. La sua vita per l’Unità d’Italia e l’affratellamento degli italiani. A differenza di altri grandi condottieri, disprezzava il potere e il denaro. Possedeva una potenza e una generosità d’animo rare. Quando stava a Caprera, per dirne una, se non riceveva i viveri dai suoi amici, quasi rischiava di morire di fame. Eppure era uno degli uomini più famosi del suo tempo, ammirato dalla Regina Vittoria d’Inghilterra e da Alexandre Dumas, da Giuseppe Verdi come da Benedetto Croce».
La Resistenza ha avuto in Garibaldi, sostenitore di un Italia unita, indipendente e popolare uno dei suoi simboli centrali. Sotto questo aspetto, possiamo considerarlo l’anello di una catena che dal Risorgimento conduce – attraverso la Resistenza – alla ricostruzione di una nuova Italia, finalmente libera e indipendente?
«Penso proprio di sì. L’obiettivo di Garibaldi era, in fondo, la libertà».
Sognava una grande Repubblica popolare e si ritrovò invece con una piccola monarchia borghese. Ne valeva la pena, combattere così tanto, per fare “questa” Italia?
«Certo che ne valeva la pena. Per l’affratellamento dei popoli, anzitutto. Possedeva il senso della politica, oltre che dell’azione militare. Tanto è vero che, quando progettò la spedizione dei Mille, mandò i suoi in Sicilia per vedere se il popolo era maturo in senso rivoluzionario. Riguardo alla monarchia sabauda, dopo il Congresso di Vienna, tutti gli Stati volevano fare l’Unità d’Italia, compreso i Borbone e lo Stato Pontificio. Ma nessuno voleva rimetterci qualcosa. L’unico che ci ha rimesso, che ha rischiato, è stato Vittorio Emanuele. E Garibaldi aveva capito che senza l’appoggio di un re, l’impresa non sarebbe mai riuscita».

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