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Inchiesta. Ischia, il saccheggio delle coste

Di Gianluca Castagna |Ischia – C’era una straordinaria ricchezza, in Italia, che abbiamo quasi completamente perduto: le spiagge, patrimonio naturale e paesaggistico unico al mondo. Ottomila chilometri di litorale oggetto di un saccheggio infinito. Ennesimo tassello di una Grande Bellezza divorata dal cemento (e non solo). La fotografia è impietosa: in soli 25 anni, un quarto di secolo, abbiamo cancellato, sfregiato  e ricoperto di cemento migliaia di chilometri di coste italiane. Dune sabbiose, macchia mediterranea, stagni e foci dei fiumi, aree di riposo e ristoro. Tutto liquidato a colpi di porticcioli, villette, complessi alberghieri e villaggi turistici. Da Nord a Sud, senza distinzione alcuna.

1782185_10202161989066241_2012046493_nE’ quanto emerge dall’ultimo rapporto del Wwf “Cemento coast to coast”, pubblicato in questi giorni e nel quale le foto satellitari parlano chiaro: in Italia è in atto una vera e propria “trasformazione metropolitana” del litorali, con meno del 30% delle coste italiane rimasto libero dalle costruzioni. Immagini che restituiscono un quadro preoccupante e una deriva pericolosa a cui sembra impossibile porre freno. La legislazione, infatti, si è dimostrata inefficace, mentre le volontà politiche degli amministratori locali, in combutta con gli interessi commerciali (spesso le due cose coincidono),  hanno determinato una situazione gravemente compromessa con danni incalcolabili alla biodiversità del nostro patrimonio costiero. Le lacrime di coccodrillo puntualmente versate nelle occasioni ufficiali non devono trarre in inganno: “le mani sulle spiagge” sono principalmente le loro.

Spiaggia di San Francesco prima e dopoCerto, bisogna fare i conti con un fenomeno come l’erosione costiera. Secondo il dossier del Wwf, in oltre mezzo secolo il 46% delle coste ha subito modifiche superiori a 25 metri a causa dell’erosione. Poi, però, c’è l’inarrestabile consumo di suolo. E questo è opera dell’uomo. I numeri sono inequivocabili: la densità di popolazione sulle coste è doppia rispetto alla media nazionale, senza tener conto dei flussi stagionali e delle presenze turistiche. Si calcola (dati Istat) che il 30% degli italiani viva stabilmente in 646 comuni costieri, cioè su un territorio di 43mila chilometri quadri, pari a circa il 13% del territorio nazionale. Tutto questo ha portato a un significativo incremento nel consumo di suolo: dei circa 8.000 chilometri di coste italiane, quasi il 10 % è artificiale risulta alterato dalla presenza di infrastrutture pesanti come porti, strutture edilizie, commerciali e industriali. Che tradotto significa: cemento.
L’analisi dettagliata del Wwf non entra nel merito delle autorizzazioni e delle licenze edilizie. Si presume che una buona parte di esse sia stata addirittura rilasciata in maniera conforme alle leggi vigenti. Questo è l’aspetto più inquietante, perché fa capire, a distanza di decenni, cosa questo paese si sia giocato dal punto di vista del consumo dei suoi pregiatissimi suoli. Un saccheggio legalizzato che non lascia fuori nessuno, tantomeno l’isola d’Ischia. La trasformazione di una realtà agricola in impresa turistica non ha tardato a ripercuotersi negativamente sulle condizioni del territorio e dell’ambiente. Due conseguenze, soprattutto: incremento edilizio scriteriato e inquinamento delle acque. Il primo fenomeno, in particolare, ha contribuito – con l’erosione – al soffocamento, e in diversi casi alla scomparsa, di spiagge che sono state sempre una risorsa preziosa del nostro patrimonio paesaggistico. Stessa spiaggia stesso mare? Nemmeno per sogno; ormai è solo il refrain di una vecchia canzone.

Spiaggia dei MarontiNon c’è Comune, sulla nostra isola, che possa dirsi immune dallo sfregio delle coste. Basta confrontare le immagini di Google Earth con qualche cartolina o filmato d’epoca per accorgersi di quanta bellezza, in mezzo secolo, sia stata deturpata o cancellata. Un ridimensionamento generalizzato degli arenili che mette a rischio la stessa vocazione balneare dell’isola. A Ischia Porto, la spiaggia di Cartaromana e quella degli Inglesi sono ridotte a esigue strisce di bagnasciuga. La spiaggia del Molino fino a quella di San Pietro, all’estrema punta del porto di Ischia, hanno larghezze variabili a seconda delle annate. E sono comunque un pallido ricordo di quelle che erano trenta, quaranta anni fa.

Quel che resta della spiaggia del Fungo a Lacco AmenoCasamicciola ha ceduto la sua spiaggia principale al porto commerciale e turistico. Un sacrificio, mascherato da un bizzarro gioco d’illusioni ottiche, imposto anche a Lacco Ameno. Dove la spiaggia del Fungo è rimasta solo di nome, perchè soffocata da scogliere e dal porticciolo all’ingresso del paese. Risultato? L’arenile ridotto ai minimi termini. Altrove scogliere. O pedane. A pagamento, s’intende.
La questione delle barriere è spinosa. I vecchi pescatori non le hanno mai viste di buon occhio (dicevano “dove arriva la scogliera, scompare la spiaggia”); i titolari degli stabilimenti, invece, le invocano come la panacea di tutti i mali. Pur assistite da mille cautele promozionali, basterebbero l’esperienza e uno sguardo lucido per individuarne vantaggi e svantaggi. Le scogliere proteggono dalla furia distruttrice delle mareggiate, ma impediscono anche il flusso e il riflusso delle onde sulla costa. Niente accumulo di sabbia sui litorali, niente spiagge. Tacendo poi di altri effetti collaterali, come la mancanza di un significativo ricambio d’acqua, la modifica dello stato dei luoghi, la formazione di truogoli ed estesi bassofondi.
Sulla spiaggia più celebre di Lacco Ameno, San Montano, sarebbe opportuno stendere un tendone da circo, più che un velo pietoso. Il ripascimento di cui è stata oggetto diversi anni fa rappresenta forse uno degli interventi dell’uomo sulla natura più catastrofici mai avvenuti sulla nostra isola. Il materiale utilizzato assomiglia più a terriccio che a sabbia. Godersi un’impanata di polvere è ormai diventato un gioco familiare, divertente e anche un po’ fatuo, per il quale, ovviamente, più di una puntigliosa denuncia su un giornale, vale l’esperienza diretta e rilassata. Meglio (ma ci vuole poco) è andato il ripascimento sulla spiaggia dei Maronti, forse la più spettacolare dell’isola. Dopo qualche anno, però, siamo alle solite anche lì: la parte finale delle Fumarole, verso il porticciolo di Sant’Angelo, s’assottiglia sempre di più.

Soccorso 2Ma il Comune che forse ha pagato di più in termini di devastazione delle coste è Forio. Gli artigli dell’abusivismo edilizio e dello scacco al territorio hanno agito qui con ferina vitalità e impressionante ferocia. La bellissima spiaggia del porto, cancellata negli anni ’70 per far posto alla realizzazione di una strada (Via Cristoforo Colombo) per il traffico pesante; analoga cancellazione su quel tratto di costa – subito dopo il tunnel – messo in sicurezza con mura e massi imponenti. La spiaggia di San Francesco ridotta di un terzo rispetto alla sua ampiezza originaria, mentre solo la Chiaia ha visto aumentare nel tempo le sue dimensioni. La vicenda di Cava dell’isola, la più selvaggia e derelitta del lotto, su cui pure sono stati versati fiumi di inchiostro, meriterebbe un capitolo a parte. La querelle, però, è talmente frustrante, e lo sfregio così doloroso, da preferire una fine spaventosa a uno spavento senza fine, come quello a cui stiamo assistendo da più di vent’anni.

Chi sarebbe il custode di cotanta meraviglia negata? Di chi sono le responsabilità? Il problema è creato ad arte per essere irrisolvibile. A oggi, nessuno può dire con certezza chi realmente governi un bene come le nostre coste, la cui gestione è “condivisa” a livelli molto diversi (Stato, Regioni, Enti locali), con il risultato di una frammentazione di competenze che ha portato spesso a sovrapposizioni, inefficienze, illegalità, accordi sottobanco, complicazioni di gestione e di controllo. Gli amministratori locali? Nessuno di coloro che hanno sbagliato ha mai pagato: dalla insensata spesa di denaro pubblico, hanno ricevuto solo benefici. Mentre le spiagge dell’isola continuavano a sparire anno dopo anno. Nessuna mobilitazione di massa da parte di cittadini, forse rassegnati al fatto che il destino delle nostre spiagge segua l’andamento ineluttabile delle cose e le regole spietate di una società miope e consumista.
E’ ancora possibile invertire la marcia (funebre)? Salvare le coste residue e avviare un grande piano di riqualificazione dell’esistente? Per Donatella Bianchi, presidente Wwf Italia, la risposta è sì: «Gestione integrata, uso sostenibile e attento,  rinaturalizzazione dovranno essere le parole chiave del futuro, magari investendo in un lavoro di recupero e riqualificazione delle nostre coste, speculare a quello invocato da Renzo Piano per le aree periferiche delle grandi città».

Noi, da cittadini, cominciamo a renderci conto della fortuna su cui poggiamo i piedi. Ricordandoci che non si tratta di un problema soltanto paesaggistico o – come vorrebbero far credere i pasdaran dello sviluppo economico costi quel che costi – un capriccio ambientalista: salvare le coste dal cemento vuol dire salvare un pezzo strutturale della nostra economia e del nostro futuro.

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