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Leonardo Di Costanzo, un percorso cinematografico

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Gianluca Castagna | ISCHIA – Il cinema come strumento di libertà. L’opportunità di captare direttamente la vita con la sua forza lieve e pungente. Pungente perché, sotto la lievità dell’immagine, o la discrezione dello sguardo, covano, ineluttabili, tutte le contraddizioni del reale. Il cinema di Leonardo Di Costanzo è protagonista all’edizione 2014 della Scuola estiva di storia e critica cinematografica “Luchino Visconti”, organizzata dal Circolo G. Sadoul di Ischia in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Un dialogo con l’autore, a cura di Luigi Paini e Arturo Martorelli, per un percorso cinematografico scandito da tre episodi cruciali nella vicenda artistica del cineasta isolano: “A scuola” (stasera alle 21), “Cadenza d’inganno” (domani alle 20), “L’intervallo” (domenica alle 21). Tre titoli oggi raccolti e disponibili finalmente in un dvd , “L’età di mezzo”, curato dalla Cineteca di Bologna.

Classe 1958, laureatosi all’Università Orientale di Napoli con una tesi in Storia delle religioni, Di Costanzo si trasferisce già negli anni Ottanta a Parigi, col desiderio di continuare gli studi di antropologia e dedicarsi al cinema. In Italia è in corso una piccola catastrofe: trionfa la tv, gli artigiani tentano disperatamente l’approdo al titolo d’autore, i film precipitano dal medio all’infimo. Si corre ai ripari provando la strada di una forte soggettività d’attore e ripiegando su mondi regionali che poi, in varia misura e stile, sarebbero stati tra i motivi primari dei filmaker e del nuovo cinema italiano. A Parigi Di Costanzo, si iscrive invece agli Ateliers Varan, scuola-laboratorio di cinematografia fondata nel 1981 dall’antropologo e regista francese Jean Rouch allo scopo di fare del “cinéma vérité”, cuneo indispensabile per indagare la realtà del mondo ex-coloniale. Un’ipotesi di racconto, e indagine sulla realtà, che non conosce confini geografici; anzi, si alimenta della ricchezza multiculturale per diventare più libero, necessario e potente.

A scuolaL’avventura professionale di Leonardo Di Costanzo è segnata dal genere documentaristico, di cui è riconosciuto come uno dei più importanti esponenti europei, ospitato e premiato nei festival di cinema di tutto il mondo. Con “Prove di Stato” (1999), affronta il tema della latitanza delle istituzioni nel comune di Ercolano, seguendo da vicino Luisa Bossa, ex preside di liceo eletta sindaco dopo Mani Pulite. Nel documentario “A scuola” (2003) la macchina da presa cattura un anno di vita di una classe della Scuola Media “Nino Cortese”. Una tela su cui si iscrivono le dinamiche di tutte le scuole periferiche delle grandi città d’Europa, dove la pedagogia è essenzialmente attività di trincea e la didattica un tentativo spesso eroico di stimolare un interesse concentrato altrove.

Cadenza d'ingannoDocenti che perdono il controllo, linguaggi che non riescono a capirsi, sguardi destinati a incrociarsi solo di sghembo o di striscio. Dialoghi di frontiera che, pur mirando alla conoscenza, spesso si infrangono contro modelli esterni che di didattico non hanno nulla. E’ la realtà quotidiana che entra in aperto contrasto con le aspirazioni e le velleità pedagogiche di un intero sistema educativo sull’orlo di una crisi di nervi. Le immagini di insegnanti esasperati, che cedono alla stanchezza o allo sconforto, o le facce svogliate, distratte e sofferenti degli alunni, feriscono lo spettatore perché è la scuola stessa a essere stata oltraggiata; la visione, di conseguenza, non può non essere lacerata e lacerante. Di Costanzo lavora per sfumature, dettagli, scarti minimi, anche quel necessario pudore che risparmia l’amarezza di una bocciatura sul viso di un ragazzo. E’ il tocco gentile, malinconico e mai reticente, con cui racconterà la giornata particolare di Salvatore e Veronica ne “L’intervallo”, il suo primo lungometraggio di finzione. Prima però – non a caso – arriva “Cadenza d’inganno” (2011), l’incidente che lascerà esplodere tutte le ambiguità del genere documentaristico. Antonio è un 12enne dei Quartieri che a un certo punto decide di non voler più continuare le riprese. Un corto circuito espressivo che segna la rivolta del personaggio e la cancellazione dei confini molto labili tra realtà e rappresentazione, verità e finzione. E’ la resa. Ciò che vibra, in “Cadenza d’inganno” è soprattutto lo sguardo, pulsione fotografica del reale, mai troppo partecipe ma neanche cinico oppure distaccato rispetto allo scenario che osserva: un mondo senza adulti. O forse senza bambini, che a quell’età sono già grandi. Le madri, i pugili, i quartieri fatiscenti e il sogno di una villa a Capri, le bravate da scugnizzi e i vagabondaggi notturni, le aspiranti stiliste e i ragazzini suicidi a cui non basta più una vita consumata per strada. Qualche anno dopo è Antonio stesso a contattare il regista per finire il film. Adesso si tratta di ri-guardare e ri-filmare dopo aver già guardato e filmato un tempo. Le immagini perdono la loro funzione d’archivio, ri-diventano corpi del dolore, fisicamente (ancora) presenti in un racconto volutamente spezzato. E’ la cadenza d’inganno che cambia il finale della partitura.

L'intervalloL’approdo alla finzione è perciò meno traumatico del previsto: la sceneggiatura,  un dispositivo che, per quanto sotto controllo, è sempre aperto all’alea della lavorazione. Con “L’intervallo” (2012), presentato alla Mostra del cinema di Venezia, siamo di nuovo nello strappo tra l’individuo e la società, con le sue strutture, le sue leggi, le regole implacabili dei codici barbari che violano la libertà delle persone e ammazzano la creatività della giovinezza. Un film, scritto con Mariangela Barbanente e Maurizio Braucci, che racconta, nelle parole del suo autore,  “come si forma e sedimenta la mentalità camorristica attraverso due adolescenti. Una storia sulla volontà di  sopruso che è propria della criminalità ”. Un quadro agghiacciante sull’assurda violenza operata dalla società sull’individuo, lavorando su un piano di realismo e su un’assunzione di responsabilità che presuppongono una rabbia interiore (e forse un dolore) fuori dal comune. Veronica rimane chiusa con Salvatore tra le mura oscure di questo vecchio edificio abbandonato della periferia di Napoli. Un luogo a tratti spaventoso, altre volte misterioso, dove in realtà i ragazzi trovano la loro momentanea fuga, seppure breve, dalla cruda realtà che sta oltre il muro. Vivono così, con genuinità e per un giorno intero, il loro “intervallo”. L’età di mezzo, con tutto il bisogno insopprimibile di spensieratezza, innocenza e libertà.

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