martedì 8 luglio - 2014
Home Authors Articoli diGianluca Castagna

Gianluca Castagna

11 ARTICOLI 0 COMMENTI

0

Gianluca Castagna | CasamicciolaGaribaldi è il Mito. L’italiano più popolare del suo tempo insieme a Giuseppe Verdi. Una fama che ha origini molto lontane, ma che intercetta il suo cuore pulsante quando parte la famosa spedizione dei Mille che da Quarto approda in Sicilia. Se fosse stato solo per gli accordi di Plombières del 1858 e per la battaglia di Solferino e San Martino dell’anno seguente, l’Italia si sarebbe formata come una confederazione di Stati presieduta dal Papa. Al Piemonte sabaudo bastava l’annessione della Lombardia per consentire a Cavour di costruire tutte le ferrovie che voleva fino a Venezia e ad Ancora.
E’ l’avventura temeraria di un grande genio militare come Giuseppe Garibaldi che improvvisamente rilancia il gioco, conquistando il Regno delle Due Sicilie. Protagonista assoluto dell’Ottocento, fu anche grandissimo comunicatore e antesignano dell’informazione, se è vero che la spedizione dei Mille è stata definita “la prima grande guerra mediatica”, seguita da fotografi e giornalisti di tutto il mondo.  Nelle pratiche prêt-à-porter del revisionismo storico che anima i dibattiti culturali nel nostro paese, è forse il personaggio del Risorgimento che meglio figura in quella sorta di capitale condiviso che dovrebbe essere la nostra memoria. Prevale su tutti, perfino sulla febbrile spiritualità di Mazzini.
Giuseppe Garibaldi ha soggiornato a Casamicciola per un mese intero. Centocinquanta anni fa. Dal 19 giugno al 19 luglio 1864. Per curare una fastidiosa ferita alla gamba, riportano le cronache. In realtà, per camuffare un’intensa attività politica e di consultazioni, in vista della realizzazione finale del suo progetto: l’Unità d’Italia. Giovedì sera è stato ricordato e festeggiato questo soggiorno casamicciolese con un corteo che, partito da Piazza Bagni, davanti all’Albergo Manzi (la prima dimora che ospitò il generale), ha attraversato Corso Garibaldi e Via Principessa Margherita, per arrivare in Piazza Marina, dove  interventi di carattere storico hanno ricordato l’Eroe dei Due Mondi. Chi fu, dunque Garibaldi? L’eroe che dedicò la vita a combattere per ideali di libertà e di giustizia oppure lo strumento inconsapevole di una trama di potere ordita da massoni e liberali per impossessarsi dell’intera Penisola?
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Nino D’Ambra, fervente ammiratore e studioso di Garibaldi, organizzatore di questa iniziativa che festeggia l’anniversario del soggiorno isolano da parte di un grandissimo protagonista della storia italiana e internazionale.
foto-1L’Unità d’Italia è stato il risultato di un processo lungo e complesso. A che punto siamo, di questa vicenda, quando Garibaldi arriva a Casamicciola nell’estate del 1864?
«Siamo a un punto decisivo. All’unificazione del Paese mancavano Roma e il Veneto. Grazie a una nave inglese, Garibaldi arrivò al porto di Casamicciola e rimase sull’isola un mese intero per concertare azioni strategiche e militari che completassero il processo di unificazione».
Eppure le fonti ricordano l’episodio come soggiorno termale. Invece – a quanto pare – fu l’occasione per incontri importanti con esponenti del mondo liberale e massonico, soprattutto a Villa Zavota alla Sentinella, lontani da occhi indiscreti.
«Giuseppe Garibaldi arrivò a Casamicciola nel 1864. Quasi vent’anni anni prima del terremoto epocale che l’avrebbe distrutta. Casamicciola era all’epoca una delle stazione termali più importanti d’Europa, ma in quei giorni si ritrovarono qui circoli, partiti, logge massoniche, movimenti, tutti coloro che in qualche modo erano determinati a portare a compimento l’Unità d’Italia. Vennero a visitarlo fino a 2000 persone al giorno. Naturalmente, sui giornali dell’epoca, fu messo in rilievo che lui doveva farsi i bagni termali. Una misura anche precauzionale, erano personaggi considerati sovversivi dallo Stato italiano, una sorta di Brigate Rosse. Non dimentichiamoci che avevano intenzione di occupare due stati stranieri: a Roma c’era il Papato e a Venezia gli Austriaci. Non era una cosa semplice, ecco perché i giornali parlarono soprattutto di cure termali. Fece anche quelle, ma principalmente raccolse le idee dei circoli e dei partiti per liberare Roma e Venezia, completando così l’unità del paese. Ecco l’importanza del suo soggiorno a Casamicciola».
Qual era il clima politico sull’isola? Come fu accolto dalla popolazione e che tracce scritte sono rimaste di questo soggiorno?
«Garibaldi fu accolto in maniera festosa. Tanto è vero che il trasferimento a Villa Zavota si rese necessario anche per assicurargli una maggiore privacy e tranquillità. Delegazioni, ammiratori, sostenitori, volevano incontrarlo a ogni costo. Lo slancio del popolo per l’unificazione fu molto forte anche sull’isola, era un personaggio popolare e amatissimo ovunque. Se qualcuno, in cuor suo, era dissenziente, lo tenne per sé, poiché manifestazioni di dissenso non ce ne furono. Girava poco, ma un giorno andò a Forio per una riunione con i militanti locali del Partito d’Azione.  Lo sappiamo perché esistono rapporti di polizia molto precisi da parte di Raffaele Manzi, funzionario incaricato dalla polizia sabauda di tenerlo d’occhio e fratello del suo primo ospite Luigi. Questi rapporti, allora secretati, sono usciti molti anni dopo e c’è praticamente tutto. Date e nomi. Ne abbiamo delle copie anche a Forio, al Centro di Ricerche Storiche D’Ambra».
Garibaldi 5Come mai il mito di Garibaldi è ancora oggi così forte, empatico e popolare? Fu forse il suo ribellismo, l’aspetto anche sovversivo della sua impresa, a garantirgli un appeal così duraturo?
«Non credo. E’ stato un uomo che ha vissuto per gli ideali. La sua vita per l’Unità d’Italia e l’affratellamento degli italiani. A differenza di altri grandi condottieri, disprezzava il potere e il denaro. Possedeva una potenza e una generosità d’animo rare. Quando stava a Caprera, per dirne una, se non riceveva i viveri dai suoi amici, quasi rischiava di morire di fame. Eppure era uno degli uomini più famosi del suo tempo, ammirato dalla Regina Vittoria d’Inghilterra e da Alexandre Dumas, da Giuseppe Verdi come da Benedetto Croce».
La Resistenza ha avuto in Garibaldi, sostenitore di un Italia unita, indipendente e popolare uno dei suoi simboli centrali. Sotto questo aspetto, possiamo considerarlo l’anello di una catena che dal Risorgimento conduce – attraverso la Resistenza – alla ricostruzione di una nuova Italia, finalmente libera e indipendente?
«Penso proprio di sì. L’obiettivo di Garibaldi era, in fondo, la libertà».
Sognava una grande Repubblica popolare e si ritrovò invece con una piccola monarchia borghese. Ne valeva la pena, combattere così tanto, per fare “questa” Italia?
«Certo che ne valeva la pena. Per l’affratellamento dei popoli, anzitutto. Possedeva il senso della politica, oltre che dell’azione militare. Tanto è vero che, quando progettò la spedizione dei Mille, mandò i suoi in Sicilia per vedere se il popolo era maturo in senso rivoluzionario. Riguardo alla monarchia sabauda, dopo il Congresso di Vienna, tutti gli Stati volevano fare l’Unità d’Italia, compreso i Borbone e lo Stato Pontificio. Ma nessuno voleva rimetterci qualcosa. L’unico che ci ha rimesso, che ha rischiato, è stato Vittorio Emanuele. E Garibaldi aveva capito che senza l’appoggio di un re, l’impresa non sarebbe mai riuscita».

0

Gianluca Castagna | FORIO –  Sono gli indiziati numeri uno per il dissesto del manto stradale. E ora rischiano davvero di fare una brutta fine. La situazione, però, è nota da tempo: sulla via Borbonica, la strada collinare che collega i comuni di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio, siamo ben oltre la soglia dell’emergenza. Le radici dei pini marittimi posti ai lati della strada invadono la carreggiata e molti automobilisti in transito, per evitare sobbalzi e danni ai propri mezzi, si spostano sull’altra corsia, rischiando manovre azzardate o frontali contro veicoli provenienti dalla direzione opposta. Non va meglio per i pedoni, visto che i marciapiedi sono ormai inutilizzabili. Ricoperti dalle erbacce, invasi da rifiuti di ogni genere, usati dai residenti (e non solo) come parcheggi per le loro automobili. Di ordinaria manutenzione manco a parlarne. Infine le radici dei pini, che hanno distrutto quel che rimaneva della pavimentazione. Da qualche giorno tre esemplari di pino marittimo su via Baiola sono stati transennati assieme all’area circostante. Una misura resa forse necessaria per segnalare la pericolosità di quel tratto di strada, e che presumiamo resterà in vigore fino a quando non verrà trovata una soluzione al problema. Ecco, quale soluzione? L’abbattimento ci sembra quella più sbrigativa e probabile, ma anche la più infelice. I pini marittimi, oltre all’indiscutibile valore estetico, storico e paesaggistico, da sempre svolgono un ruolo fondamentale nella purificazione dell’aria dall’inquinamento da gas di scarico e particelle dannose alla salute. Sono alberi che caratterizzano l’estetica e l’identità stessa dei luoghi. Dei nostri luoghi.

foto 1 (3)Le piante in questione, oltretutto, godono di ottima salute. Nessuna malattia contagiosa che ne giustifichi il taglio fatale, com’è avvenuto negli anni passati per altri esemplari presenti in moltissime zone dell’isola. Al posto dei pini, anche loro invasivi, di piazza Giovanni Maltese in pieno centro a Forio, oggi ci sono solo più automobili (una piazza parcheggio), mentre a Lacco Ameno, in via IV Novembre e nella stessa piazza di Santa Restituta, sono stati sostituiti con esemplari di Schinus molle (il cd. falso pepe) o aiuole di fiori e palme tropicali. Come se l’isola d’Ischia, invece di trovarsi nel Mediterraneo, facesse parte dei remoti arcipelaghi caraibici. Insomma, la finezza d’intuito dei nostri amministratori ci ha condotto spesso a improbabili soluzioni di politica creativa (prima ancora che arrivasse la finanza, assai creativa pure quella, a darci il colpo di grazia).
Ecco perché sarebbe auspicabile che, riguardo ai lavori in corso sui pini di Via Borbonica, si valutassero tutte le opzioni disponibili. Che non si limitano all’abbattimento di alberi allo stato attuale certamente pericolosi per i cittadini, ma prevedono anche possibilità d’intervento per la conservazione della pianta facendo restare sotto terra le radici. Soluzioni già sperimentate altrove: d dall’uso di tessuti geotessili, posti sotto il manto e ai lati della buca d’impianto, impedendo quindi lo sviluppo orizzontale dell’apparato radicale, alla creazione di uno strato “isolante” costituito da sabbia, pietrisco e cemento “ostile” alla crescita delle radici. Sono soluzioni più costose, che riguardano la parte agronomica, ma anche quella relativa allo scavo e al ripristino del manto stradale.
foto 5Del resto, una volta abbattuti i pini e scongiurata l’emergenza immediata, cosa ci aspetterebbe per il futuro? E’ intenzione dell’amministrazione rimpiazzare gli alberi, in numero non inferiore a quelli tagliati? Magari con esemplari che contribuiscono a procurare frescura e ombra a tutti coloro che nelle calde e afose giornate estive percorrono a piedi quella strada? Per saperne di più, aspettiamo l’incontro che l’Assopini Ischia avrà domani con il sindaco di Forio Francesco Del Deo, al quale spetterà trovare una soluzione che scongiuri i pericoli quotidiani che gravano su quella strada e al tempo stesso salvaguardi un simbolo verde della nostra isola. Sappiamo tutti che il patrimonio arboreo costituisce irrinunciabile polmone vitale per la comunità, e che tutte le piante – prima di arrivare alla soluzione finale del taglio – dovrebbero essere tutelate e mantenute in buono stato di conservazione.

3

Gianluca Castagna | Ischia è vinta. E noi tutti abbiamo perso. Una battaglia di civiltà, prima ancora che di giustizia e legalità. Nella vicenda della spiaggia di Cava dell’isola, a Forio, si è ripetuto un copione troppo noto per suscitare sorprese. Stessi attori, stesso ruolo, stesso set. L’intreccio perverso tra politica, imprenditoria e affari ha avuto come effetto una devastazione del territorio ormai irreversibile. L’abusivismo selvaggio con cui è stata sfregiata l’isola d’Ischia ha compromesso per sempre luoghi unici, paesaggi mozzafiato, bellezze naturalistiche che avrebbero potuto dar linfa alle uniche due risorse su cui si regge l’economia locale: l’agricoltura e il turismo. Non sono servite le denunce degli ambientalisti, la rabbia dei cittadini, l’esempio virtuoso di pochi. Per decenni la compiacenza di burocrati e amministratori ha consentito la violazione sistematica di ogni norma edilizia. Compresa quella, per molti versi insensata, dell’inedificabilità assoluta. Perché a un totem ideologico se ne è contrapposto un altro: la frauca selvaggia. Costi quel che costi.

cavisola-370x290Tutto questo non sarebbe accaduto senza l’aiutino della politica.
Senza concedere protezione in cambio di affiliazione. Senza l’ambiguità delle dichiarazioni di circostanza che nascondono truffe linguistiche e regalano assoluzioni sottobanco. Senza l’ipocrisia di chi condanna a parole, ma poi non muove un dito e chiude un occhio, anzi tutti e due. Perfino in questi giorni, quando l’incendio di un canneto ha rivelato agli occhi di tutti una faraonica discesa di pietra e cemento che dall’ormai famigerato complesso turistico muove verso l’arenile di Cava, la risposta politica dell’amministrazione Del Deo si è limitata a proclami precotti o improbabili autoassoluzioni (“quando ci siamo insediati, già esisteva”; “il privato sta provvedendo a eliminare il pericolo”, “non abbiamo mezzi e uomini”). Perfino di fronte alle immagini, alla loro schiacciante evidenza (un operaio spiana il terreno al termine del tratto di strada sotto sequestro), l’autismo della politica resta esemplare (“Non mi risulta che ci siano stati interventi edilizi nei giorni scorsi”, “Non accetto dietrologie”).
Nemmeno le dimissioni dell’assessore Luciano Castaldi, segno manifesto dell’irrilevanza (e fallimento) della politica, di questa politica, sono riuscite a scuotere il primo cittadino di Forio e la sua crocchia dall’inerzia desolante e dal solito torpore. “Questioni personali e di lavoro”, si taglia corto per tacitare la voce fuori dal coro.
Del resto, parliamo di un’amministrazione che, all’indomani dei crolli avvenuti lo scorso inverno, chiede ai titolari dei terreni sovrastanti (friabili certo, ma anche gravati da centinaia di metri cubi un po’fuorilegge, un po’condonati, un po’ sotto sequestro) nientemeno che un piano per mettere in sicurezza il costone. Proprio a loro? A chi è corresponsabile di questo stato delle cose? E’ come affidare a un piromane lo spegnimento di un incendio.

pag.-6-foto-pezzo-principale2-700x357Oggi leggiamo che il sindaco Del Deo – secondo quanto riporta Mario Goffredo del M5s – potrebbe valutare l’ipotesi di una discesa solo dopo la totale messa in sicurezza dell’area. Magari con la giustificazione di rendere accessibile l’arenile ai diversamente abili. L’ultima foglia di fico con cui si coprono le peggio nefandezze e ci si lava la coscienza. Posto che, ragionando così, ogni impresa turistica troverebbe lecito affondare gli artigli sul territorio per presunte nobili cause; posto che una strada per raggiungere l’arenile già esiste, basterebbe renderla percorribile ai diversamente abili e non agli scooter o ai furgoni (come accade adesso); posto che gli interessi legittimi dei diversamente abili valgono almeno quanto quelli degli altri, c’è un interesse superiore della collettività a cui non si può rispondere con la politica dello struzzo: è il diritto alla salvaguardia e alla tutela dei beni ambientali. Viene prima di ogni cosa.
Ecco perché riaprire parte della spiaggia, ancora assediata da abusivisti seriali, è solo un sedativo per la meglio gioventù sul piede di guerra. Un condono soft che non affronta, né scioglie la contraddizione di fondo che ha distrutto una delle spiagge più belle dell’isola. Basterebbe una nuotata a pochi metri dalla riva per rendersi conto che le discese a mare sembrano pacchiane rampe di lancio, o che è sempre più difficile distinguere interventi “naturalistici” di messa in sicurezza da metastasi del cemento e dell’orrore. Questione speciosa? Sarà, ma l’estetica è etica. Anche se non quella dei comitati d’affari.

Grazie a Miro Iacono per il fotoritocco alla prima immagine 

 

0

Gianluca Castagna| Ischia – E’ partita lo scorso 8 maggio da Ponza la caccia subacquea ai vecchi pneumatici abbandonati nei fondali italiani. Pessima abitudine, senza motivazioni ragionevoli, che contribuisce a distruggere l’equilibrio delicato della vita nei nostri mari. Ecco perché l’associazione Marevivo, in stretta collaborazione con le Capitanerie di Porto e l’EcoTyre (consorzio attivo nella raccolta e gestione degli pneumatici fuori uso), ha promosso una lodevole iniziativa a livello nazionale denominata “PFU Zero nelle isole minori”.
L’iniziativa prevede una raccolta straordinaria di copertoni d’automobile abbandonati in mare e coinvolgerà i fondali del porto di 11 isole di 6 diverse regioni italiane: Lazio, Sardegna, Sicilia, Toscana, Puglia, Campania. Dopo Ponza, la prossima tappa è La Maddalena in Sardegna, il 10 giugno; sarà poi la volta di Ischia, giovedì 12 giugno. Seguirà la settimana delle Eolie, con Vulcano (16 giugno), Panarea (17 giugno), Salina (18 giugno), Stromboli (19 giugno) e Lipari (20 giugno). Le ultime tre tappe saranno l’isola del Giglio, mercoledì 25 giugno, le isole Tremiti, venerdì 27 giugno, e per chiudere Capri, lunedì 30 giugno.

Gummy2«Questo progetto con EcoTyre – ha spiegato Rosalba Giugni, presidente di Marevivo – ci consente, ancora una volta, di muoverci allo stesso tempo su due piani per noi fondamentali: operare concretamente a tutela del mare e far germogliare e sviluppare nelle nuove generazioni il concetto chiave che la vita e la salute dell’uomo dipendono dall’integrità dell’ecosistema marino costiero».
Una tappa ulteriore dell’impegno concreto che Marevivo porta avanti da tempo nelle isole minori italiane, considerate come laboratori di sostenibilità e dove è possibile attuare “best practice” per dare un’impronta diversa a un mercato decisivo per l’economia locale (e non solo) come quello del turismo. «La  nostra divisione sub – ha continuato la Giugni –  libererà, nei prossimi mesi, i fondali dei porti selezionati da centinaia di pneumatici abbandonati e contemporaneamente i nostri operatori daranno vita ad attività di educazione ambientale, che rappresenta, come sempre, un momento formativo e prezioso per i più giovani».

Sulle banchine, infatti, saranno organizzate iniziative di sensibilizzazione per turisti e cittadini, con un’attenzione particolare ai più piccoli. I bambini saranno coinvolti in giochi e attività ricreative grazie a Gummy, la mascotte di EcoTyre, e, proprio attraverso il gioco, sarà spiegata l’importanzadi una corretta gestione delle gomme fuori uso,  e quanto il recupero di questi rifiuti sia necessario per salvaguardare l’ambiente e, in particolare, quello marino.
«Per città più vivibili e mari più puliti – ha dichiarato il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, in occasione della presentazione del progetto – dobbiamo rafforzare la sensibilità ambientale degli italiani e soprattutto puntare sull’educazione delle nuove generazioni. Ogni iniziativa che coinvolge i giovani e li rende protagonisti della difesa dell’ambiente contribuisce a gettare le basi per un Paese davvero ecosostenibile e quindi più civile».

Raccolta pneumatici 3Una volta ripuliti, i copertoni saranno trasferiti sui moli e un mezzo di EcoTyre li caricherà per portarli presso gli impianti di trattamento in cui verranno avviati al recupero. Questa speciale tipologia di rifiuto, com’è noto, è dannosissimo per l’ambiente, comporta alti costi di smaltimento ma, se gestita in modo corretto, è riciclabile al 100% e utilizzabile per fondi stradali, superfici sportive, materiale per l’isolamento o per l’arredo urbano.
«Il piano – ha precisato Enrico Ambrogio, Presidente EcoTyre – permetterà ai Comuni di bonificare i porti con un’attività di raccolta che sarà interamente sostenuta dal Consorzio e dai suoi 300 soci. Questa iniziativa va ad affiancarsi alle numerose raccolte straordinarie realizzate nel corso dell’anno a sostegno delle amministrazioni comunali, che hanno chiesto il nostro aiuto. Permette, inoltre, di promuovere comportamenti virtuosi e sostenibili tra i cittadini, l’anello fondamentale da cui parte l’intera filiera del riciclo».
Appuntamento dunque a giovedì prossimo per liberare i fondali dell’isola d’Ischia da questi nemici mortali non solo del mare, ma della vita stessa sul nostro pianeta. Non dimentichiamoci che l’ecosistema marino esercita una funzione fondamentale anche nell’ambito del clima e dunque nel regolare processo di nascita e di sviluppo di tutte le specie vegetali e animali. Compresa la nostra.

0

Gianluca Castagna | Ischia – Sono stati tre giorni di cinema e incontri, seguiti da un folto pubblico interessato e partecipe. All’edizione 2014 della scuola di storia e critica cinematografica a cura del Circolo Sadoul, un protagonista d’eccezione: Leonardo Di Costanzo. Tra i documentaristi più apprezzati d’Europa, il regista isolano ha raccontato la sua esperienza professionale e i suoi film, in bilico tra documentario e cinema di finzione, ma con lo sguardo sempre alla ricerca di un modo nuovo per afferrare la realtà e rappresentarla sul grande schermo. Di Costanzo è reduce dal Festival di Cannes, dove è stato presentato “I ponti di Sarajevo”, opera corale che parte dalla capitale bosniaca per scoprire i mali del “secolo breve”.
Poche settimane fa, a Cannes, “L’avamposto”, uno dei tredici episodi del film collettivo “I ponti di Sarajevo”. Com’è nata la partecipazione a questo progetto?
«L’iniziativa è partita da Jean Michel Frodon, che ha un rapporto molto stretto con Sarajevo. Tutto il progetto è una metafora, un simbolo: pensiamo a Sarajevo come la città della convivenza, un luogo vitale, vivace, di condivisione, dove hanno sempre coabitato etnie e religioni diverse. Poi, per uno strano gioco della storia, è diventata la città teatro dell’avvenimento che portò alla Grande Guerra o il centro del conflitto balcanico con cui si chiude il Novecento. Tutti i registi coinvolti nel progetto hanno un modo molto personale di raccontare le storie al cinema, e sono stati scelti per aver vinto, in carriera, almeno un premio nei tre festival europei più importanti: Cannes, Venezia, Berlino. Quando me l’hanno chiesto, ho subito accettato con entusiasmo malgrado non conoscessi Sarajevo. La libertà di scegliere cosa e come raccontarla è stato uno stimolo in più».
L'avampostobis“L’avamposto” è la rilettura del racconto di De Roberto “La paura” ambientato durante la prima guerra mondiale? Cosa ha deciso di privilegiare in soli otto minuti a disposizione?
«Nel racconto di De Roberto la paura è al centro del racconto. Soldati semplici che, da massa anonima e indistinta, diventano individui attraverso il sentimento umanissimo della paura. Chi si fa confessare, chi si raccomanda di consegnare i corpi ai familiari. Purtroppo era impossibile raccontare tutto, quindi ho individuato nella figura del tenente, schiacciato da due logiche (dei superiori e dei soldati), il centro della mia narrazione»
“L’avamposto” è stato girato in una grotta, spazio ideale per la metafora e l’astrazione.
 «Un gioco tra il dentro e fuori, l’ombra e la luce. Pensare di andare verso la luce e trovare invece la morte. L’idea di ambientare la storia in uno spazio chiuso, isolato, circoscritto, rispondeva soprattutto alla esigenza di rendere il racconto poco realista, meno ancorato alla realtà».
L'avamposto 1bisLe scuole delle periferie metropolitane come arene di combattimento in “A scuola”; il comune di Ercolano, trincea per il sindaco Luisa Bossa nel documentario “Prove di Stato”; l’ex ospedale psichiatrico Bianchi, il luogo dove Salvatore e Veronica vivono la loro giornata particolare ne “L’intervallo”. I luoghi dell’azione diventano personaggi in piena regola.
« Sono fondamentali. Nel momento in cui devo inventarmi delle storie, se non ci riesco, è perché non ho ancora capito dove questa storia deve accadere. Non posso conoscerne in anticipo il senso, ma mi serve stare lì dove le cose accadono. La realtà è molto ricca, facilmente ti può sopraffare, o ti sfugge, quindi sei costretto in qualche modo a organizzarla, a scegliere».
“A scuola”, “Cadenza d’inganno”, “L’intervallo”. Tre tappe cruciali della sua indagine sul reale e i modi di raccontare. A che punto è questa ricerca?
« Più che un’indagine, io sono affascinato dal reale. Cerco sempre di intercettarlo in tutti i modi. Posizionarmi a distanze diverse per cogliere l’enorme potenzialità narrativa. La finzione, il documentario, sono tutti strumenti per intercettare il racconto della vita di tutti i giorni, per trovare il posto migliore dove mettermi e catturare meglio la potenza narrativa del reale. E’ come andare a caccia: un esercizio di posizione, più che un esercizio di stile»
Ci sarà ancora Napoli, e l’umanità catturata nell’età di mezzo, dentro lo sguardo futuro di Leonardo Di Costanzo?
«L’età di mezzo non credo, a meno che non sbuchi fuori all’improvviso. Napoli continua a essere una grossa insidia per ogni cineasta; inizialmente volevo andarmene, trovare altre realtà da raccontare, ma faccio fatica a parlare, che so, di Ascoli Piceno. Nel prossimo film che sto scrivendo con Maurizio Braucci, la città di Napoli sarà molto presente, quindi ci sto mettendo molto tempo. Però le sfide sono belle anche per questo: è la realtà che vivo e conosco, quella che mi interessa raccontare. Meglio prenderla di petto».

0

Gianluca Castagna | Ischia – Le celebrazioni, in questi giorni così numerose, non erano la sua passione. Preferiva defilarsi, starsene a casa, indolente, riservato e antipresenzialista a dispetto della sua grandissima popolarità. Massimo Troisi, scomparso esattamente vent’anni fa, il 5 giugno 1994, per via di un cuore troppo ballerino, campeggia ancora nel ricordo di ciascuno di noi. Le sue apparizioni televisive, gli sketch con la Smorfia e i suoi film, anche quelli in cui fu solo attore, testimoniano il rimpianto per quello che avrebbe ancora potuto dare allo spettacolo italiano e al suo pubblico.
In molte pizzerie partenopee, non solo quelle a Napoli, è facile trovare la sue immagine accanto ai volti di Totò ed Eduardo. A molti nostalgici della commedia dell’arte (che in Eduardo e Totò riconoscono le massime espressioni di sempre) potrà apparire azzardato questo accostamento, forse perfino irriguardoso. Eppure Massimo Troisi ha avuto il merito di traghettare quell’arte così magistralmente rappresentata da Eduardo e Totò, nella Napoli moderna, quella che, abbandonato l’immaginario abusatissimo del centro, ha trovato nelle periferie della metropoli nuova linfa vitale ed espressiva. Ecco perché quel ragazzo di San Giorgio a Cremano divide con Eduardo e Totò lo stesso angolo di cuore di ogni napoletano.

Massimo Troisi 1Un talento comico naturale, dotato dei ritmi, delle pause, delle intonazioni giuste per far ridere. Ma anche un Pulcinella metafisico e sentimentale, capace di affrontare col sorriso temi e argomenti seri. Soprattutto un personaggio modernissimo in cui si è riflessa la confusione di quella generazione post-sessantottina disillusa, cresciuta fra incertezze, smarrimenti , precarietà e le pallottole vaganti degli anni di piombo.
E’ per questo che “Ricomincio da tre”, piccolo film costato una cifra ridicola con cui Troisi si affaccia timidamente al cinema nel 1981, reduce dai grandi successi televisivi di “Non stop”, diventa un caso, il maggior successo italiano del tempo. Diceva: «Sono completamente cosciente dei miei limiti: prima di ‘Ricomincio da tre’ non avevo mai fatto nemmeno fotografie». Ma quella comicità ispirata ai suoi grandi conterranei e, nello stesso tempo così moderna, quella capacità di far ridere senza far ricorso a volgarità più o meno gratuite,  diventano la chiave di un successo tanto inatteso quanto meritato. Il più eclatante tra i nuovi comici, romani, toscani, emiliani, milanesi, premiati dal grande consenso popolare.
Troisi propone un protagonista timido, antieroico, complessato e problematico. Circondato da familiari e amici invadenti che gli affollano la casa e i pensieri. Timoroso nei confronti dell’altro sesso, nonostante anni di rivoluzione sessuale. Parla un napoletano verace, smozzicato, tendente all’afasia, nel quale riemergono i tratti “gestuali” ed eversivi della parola, il suo essere in fondo un insieme di imitazioni convulse della realtà, segni indistinti e indefiniti, non controllabili né addomesticabili. La magia sta anche nel suo modo di parlare, nel timbro inspiegabilmente melodioso della voce, nel suo lasciarsi cadere addosso le frasi.  Troisi sfata la napoletanità così come vissuta dalla cultura nazionale anche nei film diretti da altri.Nel sodalizio con Ettore Scola (“Splendor”, “Che ora è”, “Il viaggio di Capitan Fracassa”), dove ritornano il senso malinconico della vita, il conflitto con la famiglia, l’ironia garbata, quella fatica di adattarsi ai disagi della giovinezza e, in “Fracassa”, l’esistenza vagabonda dei comici. Arriva sul set de “Il Postino” di Michael Radford pienamente consapevole del suo stato di salute. Perché certi interventi aggiustano ma non risolvono. Quel giovane timido e illetterato in contrasto con Neruda di Philippe Noiret sembra un personaggio cucito addosso su di lui. E’ l’ultimo tassello di un testamento morale, sul cinema e la poesia, rimasto purtroppo senza eredità.

0

Gianluca Castagna | ISCHIA – Il cinema come strumento di libertà. L’opportunità di captare direttamente la vita con la sua forza lieve e pungente. Pungente perché, sotto la lievità dell’immagine, o la discrezione dello sguardo, covano, ineluttabili, tutte le contraddizioni del reale. Il cinema di Leonardo Di Costanzo è protagonista all’edizione 2014 della Scuola estiva di storia e critica cinematografica “Luchino Visconti”, organizzata dal Circolo G. Sadoul di Ischia in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Un dialogo con l’autore, a cura di Luigi Paini e Arturo Martorelli, per un percorso cinematografico scandito da tre episodi cruciali nella vicenda artistica del cineasta isolano: “A scuola” (stasera alle 21), “Cadenza d’inganno” (domani alle 20), “L’intervallo” (domenica alle 21). Tre titoli oggi raccolti e disponibili finalmente in un dvd , “L’età di mezzo”, curato dalla Cineteca di Bologna.

Classe 1958, laureatosi all’Università Orientale di Napoli con una tesi in Storia delle religioni, Di Costanzo si trasferisce già negli anni Ottanta a Parigi, col desiderio di continuare gli studi di antropologia e dedicarsi al cinema. In Italia è in corso una piccola catastrofe: trionfa la tv, gli artigiani tentano disperatamente l’approdo al titolo d’autore, i film precipitano dal medio all’infimo. Si corre ai ripari provando la strada di una forte soggettività d’attore e ripiegando su mondi regionali che poi, in varia misura e stile, sarebbero stati tra i motivi primari dei filmaker e del nuovo cinema italiano. A Parigi Di Costanzo, si iscrive invece agli Ateliers Varan, scuola-laboratorio di cinematografia fondata nel 1981 dall’antropologo e regista francese Jean Rouch allo scopo di fare del “cinéma vérité”, cuneo indispensabile per indagare la realtà del mondo ex-coloniale. Un’ipotesi di racconto, e indagine sulla realtà, che non conosce confini geografici; anzi, si alimenta della ricchezza multiculturale per diventare più libero, necessario e potente.

A scuolaL’avventura professionale di Leonardo Di Costanzo è segnata dal genere documentaristico, di cui è riconosciuto come uno dei più importanti esponenti europei, ospitato e premiato nei festival di cinema di tutto il mondo. Con “Prove di Stato” (1999), affronta il tema della latitanza delle istituzioni nel comune di Ercolano, seguendo da vicino Luisa Bossa, ex preside di liceo eletta sindaco dopo Mani Pulite. Nel documentario “A scuola” (2003) la macchina da presa cattura un anno di vita di una classe della Scuola Media “Nino Cortese”. Una tela su cui si iscrivono le dinamiche di tutte le scuole periferiche delle grandi città d’Europa, dove la pedagogia è essenzialmente attività di trincea e la didattica un tentativo spesso eroico di stimolare un interesse concentrato altrove.

Cadenza d'ingannoDocenti che perdono il controllo, linguaggi che non riescono a capirsi, sguardi destinati a incrociarsi solo di sghembo o di striscio. Dialoghi di frontiera che, pur mirando alla conoscenza, spesso si infrangono contro modelli esterni che di didattico non hanno nulla. E’ la realtà quotidiana che entra in aperto contrasto con le aspirazioni e le velleità pedagogiche di un intero sistema educativo sull’orlo di una crisi di nervi. Le immagini di insegnanti esasperati, che cedono alla stanchezza o allo sconforto, o le facce svogliate, distratte e sofferenti degli alunni, feriscono lo spettatore perché è la scuola stessa a essere stata oltraggiata; la visione, di conseguenza, non può non essere lacerata e lacerante. Di Costanzo lavora per sfumature, dettagli, scarti minimi, anche quel necessario pudore che risparmia l’amarezza di una bocciatura sul viso di un ragazzo. E’ il tocco gentile, malinconico e mai reticente, con cui racconterà la giornata particolare di Salvatore e Veronica ne “L’intervallo”, il suo primo lungometraggio di finzione. Prima però – non a caso – arriva “Cadenza d’inganno” (2011), l’incidente che lascerà esplodere tutte le ambiguità del genere documentaristico. Antonio è un 12enne dei Quartieri che a un certo punto decide di non voler più continuare le riprese. Un corto circuito espressivo che segna la rivolta del personaggio e la cancellazione dei confini molto labili tra realtà e rappresentazione, verità e finzione. E’ la resa. Ciò che vibra, in “Cadenza d’inganno” è soprattutto lo sguardo, pulsione fotografica del reale, mai troppo partecipe ma neanche cinico oppure distaccato rispetto allo scenario che osserva: un mondo senza adulti. O forse senza bambini, che a quell’età sono già grandi. Le madri, i pugili, i quartieri fatiscenti e il sogno di una villa a Capri, le bravate da scugnizzi e i vagabondaggi notturni, le aspiranti stiliste e i ragazzini suicidi a cui non basta più una vita consumata per strada. Qualche anno dopo è Antonio stesso a contattare il regista per finire il film. Adesso si tratta di ri-guardare e ri-filmare dopo aver già guardato e filmato un tempo. Le immagini perdono la loro funzione d’archivio, ri-diventano corpi del dolore, fisicamente (ancora) presenti in un racconto volutamente spezzato. E’ la cadenza d’inganno che cambia il finale della partitura.

L'intervalloL’approdo alla finzione è perciò meno traumatico del previsto: la sceneggiatura,  un dispositivo che, per quanto sotto controllo, è sempre aperto all’alea della lavorazione. Con “L’intervallo” (2012), presentato alla Mostra del cinema di Venezia, siamo di nuovo nello strappo tra l’individuo e la società, con le sue strutture, le sue leggi, le regole implacabili dei codici barbari che violano la libertà delle persone e ammazzano la creatività della giovinezza. Un film, scritto con Mariangela Barbanente e Maurizio Braucci, che racconta, nelle parole del suo autore,  “come si forma e sedimenta la mentalità camorristica attraverso due adolescenti. Una storia sulla volontà di  sopruso che è propria della criminalità ”. Un quadro agghiacciante sull’assurda violenza operata dalla società sull’individuo, lavorando su un piano di realismo e su un’assunzione di responsabilità che presuppongono una rabbia interiore (e forse un dolore) fuori dal comune. Veronica rimane chiusa con Salvatore tra le mura oscure di questo vecchio edificio abbandonato della periferia di Napoli. Un luogo a tratti spaventoso, altre volte misterioso, dove in realtà i ragazzi trovano la loro momentanea fuga, seppure breve, dalla cruda realtà che sta oltre il muro. Vivono così, con genuinità e per un giorno intero, il loro “intervallo”. L’età di mezzo, con tutto il bisogno insopprimibile di spensieratezza, innocenza e libertà.

0

Gianluca Castagna | FORIO –  Per un turismo all’insegna del mordi e fuggi, i ponti sono diventati appuntamenti fatali. Anche se – lo ripetono molti imprenditori del settore – a decidere le sorti di una stagione sono i periodi di bassa, non quelli di alta o di affluenza garantita. Abbiamo chiesto a Pietro Russo, presidente della Confcommercio Imprese provincia di Napoli e foriano doc, di tirare le prime somme a pochi giorni dalla conclusione del terzo ponte di primavera. Ma di fare anche una riflessione più articolata sulle criticità e le aspettative di un settore, il terziario, di importanza decisiva per l’economia complessiva della nostra terra. Ecco cosa ci ha detto.

A pochi giorni dalla fine del terzo ponte di primavera, dopo quello di Pasqua e del 25 aprile, è tempo di tirare le somme. Il meteo non è stato benevolo, ma che bilancio possiamo trarre dai  sui dati in possesso o dagli umori che avverte in giro?
“La sensazione è positiva. I numeri hanno bisogno di tempo per essere elaborati e interpretati, ma sono certo che confermeranno questo trend positivo, dovuto a varie concause. E’ un po’ di ossigeno in un settore in crisi da parecchio tempo per le note vicende nazionali. A Ischia poi non ci facciamo mancare niente, perché abbiamo anche una nostra crisi tutta particolare, in gran parte imputabile a criticità che ci trasciniamo da tempo e che si sono aggravate negli ultimi anni. I ponti di primavera sono stati positivi più per i numeri, che da un punto di vista strettamente economico”.

Il flusso di turisti non si è tradotto in volume di affari?
“Certo. Per una ragione semplice: non siamo stati amici di Ischia, non abbiamo creato le condizioni per farla decollare veramente e reggere alle ondate di instabilità economica come quella che stiamo vivendo. Oggi dobbiamo competere in un mercato mondiale, e se in alcune stagioni è possibile avvantaggiarsi di congiunture internazionali favorevoli, questo non basta. Ischia  mantiene il suo fascino, la sua bellezza, la sua unicità, ma dobbiamo sfruttare meglio le risorse che abbiamo. Penso al termalismo, una vera eccellenza per il nostro territorio. Non siamo i soli in Campania e nel resto del paese; penso a Castellammare, ad esempio, o a Montecatini, ma la nostra unicità è tale perché ogni fonte ha la sua specificità. Ecco, questa ricchezza, questa varietà, è difficile da riscontrare in altre stazioni termali. Eppure non la promuoviamo, né la sfruttiamo come dovremmo”.

Esercizi commerciali chiusi, orari di apertura che non sempre coincidono con quelle di una cittadina al centro di una vera e propria invasione turistica, professionalità il più delle volte inadeguate alle nuove sfide che il mercato internazionale ci impone. C’è un’inerzia da superare? Quali sono le iniziative che l’Ascom può mettere in campo per il rilancio del commercio locale?
“Dobbiamo fare di più. Anzi, molto di più. Soprattutto per migliorare l’offerta dei servizi, mettere l’ospite che sceglie Ischia nelle migliori condizioni possibili. La fetta di turisti stranieri si è allargata notevolmente negli ultimi anni. Prima vivevamo in sostanza di un monoturismo, i tedeschi. Ischia era diventata bilingue, mentre oggi arrivano i russi, i cinesi, fortunatamente è in crescita anche il mercato francese e quello anglosassone. Punti di riferimento imprescindibili per l’economia del nostro settore. Allora c’è bisogna di perfezionare, diversificare e arricchire l’offerta, anzitutto in termine di  merci”.

A cosa sta pensando l’Ascom, in particolare?
“Più in generale, per Napoli e provincia, e in collaborazione con la Camera di Commercio, abbiamo messo a punto un bando sul commercio per dare la possibilità alle piccole e medie imprese di meglio attrezzarsi per affrontare il mercato odierno. Un provvedimento che mira a dotare gli esercizio commerciali di quelle tecnologie e automatizzazioni necessarie per poter stare sul mercato. Tornando all’aggiornamento professionale nell’ottica locale, a Forio abbiamo organizzato un corso di lingua russo per permettere di interagire al meglio con una fetta di clientela straniera diventata ormai imprescindibile. Dobbiamo riprendere a far funzionare il mercato provando ad allungare la stagionalità. L’esercente farà i suoi sacrifici, ma bisogna anche capire che un negozio non chiude per capriccio, lo fa perché non c’è mercato. Ecco perché è necessaria la collaborazione delle istituzioni: devono ascoltarci e venirci incontro. In Italia, il terziario ha una valenza del 70% sull’economia nazionale, ma è uno dei settori più colpiti dal regime fiscale”.

Si riferisce, tra l’altro, all’aumento dei canoni demaniali e addizionali per i gestori degli stabilimenti balneari?
“Certo. Abbiamo presentato subito ricorso al Tar, la risposta è già positiva, quindi non credo che inciderà a fine stagione nel bilancio complessivo della categoria”.

Porto incompleto, trasporti disastrosi, inquinamento e coste in equilibrio sempre più precario. Per Pietro Russo qual è la sfida più urgente da affrontare e vincere?
“La problematica più urgente è quella dei trasporti. Via mare e via terra. Come qualità dell’offerta e dei servizi siamo tornati siamo indietro a 50 anni fa, oltretutto con costi assolutamente proibitivi. Chi non gode delle agevolazioni da residente, è seriamente dissuaso dal venire a Ischia. Pensiamo a una famiglia: con quello che dovrebbe pagare per il trasporto marittimo, si compra un biglietto per Sharm El Sheik. Avevamo una bella compagnia, la Caremar, che si è autodistrutta ed è stata distrutta. Con responsabilità di chiunque: dirigenti, dipendenti, tutti coloro, cittadini compresi, che non hanno cautelato e difeso abbastanza questa risorsa. Qui entra in gioco il rapporti tra cittadino e istituzione:  il voto dato, come ogni delega, non è in bianco. La delega si controlla, e al momento della verifica, si conferma o meno. Spiace dirlo, ma al Meridione viviamo di una subcultura che ci fa ragionare singolarmente, con obiettivi legati all’individuo e non alla comunità”.

Altrove avviene diversamente?
“Porto sempre l’esempio di stazioni sciistiche, anche in Italia, che hanno realizzato impianti miliardari. Comunità anche di poche migliaia di abitanti che si sono consorziate, hanno richiesto finanziamenti alle istituzioni, vigilato su una gestione pulita. Oggi rappresentano una realtà economica consolidata, hanno attrezzature, servizi. Ragionando in maniera intelligente e matura, si sono messe in condizioni di lavorare al meglio. A Ischia non abbiamo ragionato così. Oggi ci troviamo con un surplus di automobili e una carenza di mezzi pubblici imbarazzante. Fino a due anni fa una rete di trasporti pubblici terrestri tutto sommato ancora accettabile, con linee e collegamenti che consentivano all’ospite di raggiungere ogni parte dell’isola. Tutto distrutto. Come le coste o il lungomare: quando si consente di costruire sulla sabbia, prima o poi la natura si vendica e il mare si riprende il suo spazio”.

Sono numerose le rassegne di cultura, tradizione e spettacolo con ambizioni  internazionali. Festa di Sant’Anna, Ischia Global, Il Premio Ischia di Giornalismo, tra le tante. A suo avviso, sono supportate da adeguate azioni strategiche e organizzative? Come proporre questi appuntamenti all’estero?
“Oggi abbiamo una grande fortuna: nell’era dell’informazione globalizzata, la notizia arriva in pochi istanti in tutto il mondo. Dalla Cina al Sudamerica. E’ importante che ci siano manifestazioni che promuovano all’estero le bellezze e le potenzialità dell’isola, che ci siano personaggi che facciano da testimonial e veicolino l’immagine migliore della nostra terra. E’ però necessario che questi contenitori diventino appuntamenti fissi, certi. Per migliorarli e inserirli in una programmazione e promozione più ampia. Sono però i servizi la nostra vera urgenza. Non è possibile che su un’isola come Ischia manchino uffici turistici funzionali e funzionanti. Se un turista arriva al porto di Forio, a chi può chiedere un’informazione? Al bar? Abbiamo ottime scuole alberghiere, coinvolgiamole in un discorso strategico più ampio sul turismo e l’indotto commerciale che ne deriva. Esattamente come è avvenuto da altre parti”.

Un’ultima domanda, quasi un vaticinio: che stagione sarà?
“Migliore del 2013. Un po’ di ottimismo è necessario, altrimenti avremmo già chiuso. A patto, però, di diventare i primi amici della nostra isola. Finora non lo siamo stati”.

0

Gianluca Castagna | ForioE’ arrivata in compagnia della sua amica, la scrittrice Gaia Servadio, anche lei legata in qualche modo a Visconti per una celebre (e irriverente) biografia sul grande regista italiano. Inge Feltrinelli, la signora dell’editoria, ha visitato in questi giorni la Villa “La Colombaia”, dimora isolana di Visconti, oggi trasformata in museo e area per iniziative culturali. Dall’Albergo della Regina Isabella, dove ha soggiornato per due settimane, la Feltrinelli ha raggiunto la località di Zaro per rinverdire i ricordi che certamente la legano a un grande protagonista del cinema e dello spettacolo internazionali. In comune, l’amore per un celebre romanzo: “Il Gattopardo”, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Scritto tra la fine del 1954 e il 1957, rifiutato da molti editori, fu pubblicato proprio da Giangiacomo Feltrinelli, marito di Inge, su consiglio di Giorgio Bassani.

“Il successo arrivò inaspettato – ha ricordato spesso la Feltrinelli – Eravamo nel dicembre del 1958, Carlo Bo ricevette per sbaglio in anticipo delle bozze del libro e subito ne scrisse un’entusiastica recensione sul ‘Corriere’. Il riscontro fu immediato, i librai ci costrinsero ad accelerare i tempi di edizione. Prima di Natale ne avevamo già venduto diecimila copie. Dopo il Premio Strega, divenne il primo best-seller italiano con 100.000 copie vendute. Vittorini, che rifiutò il libro per l’Einaudi, non si perdonò mai l’errore”.
“Visconti era quel romanzo”, ha sempre ricordato la Feltrinelli. Ne acquistò i diritti per il cinema e ne trasse un capolavoro immortale. La Feltrinelli e la Servadio, da sempre esploratrici con interessi sconfinati, si sono soffermate a lungo nei saloni della Villa dove sono esposte le foto sulla vita e la carriera del regista milanese. Hanno sfogliato il bel catalogo, pubblicato in Giappone, con tutte le immagini che riproducono gli interni originali della Colombaia, rammaricandosi di quanto poco sia rimasto. In effetti, la dimora di Visconti racconta anche una storia di inaudita predazione.
Il tempo di ammirare il tramonto dalle terrazze della Villa e lasciare un ricordo sul libro delle presenze,  poi di nuovo in albergo. Non prima di aver promesso a Roberto e Camillo, che le hanno accompagnate in questa visita, la spedizione della biografia scritta dalla Servadio  (fuori catalogo, disponibile solo in inglese), e – appena verrà alla luce – un volume su Visconti edito da Feltrinelli e curato da Carla Fendi.

1

DSCN8874Gianluca Castagna | Forio – E’ la strada collinare che collega i comuni di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio. Un’ampia arteria che scorre alle pendici più verdi dell’Epomeo, lontana dai rumori del centro e ricca di scorci panoramici. Questo è un primo fatto. La cosa che salta subito all’occhio di coloro che attraversano via Borbonica, a piedi o in auto poco importa, è lo stato vergognoso in cui si trova. Degrado, incuria e abbandono da Terzo Mondo. Altro che isola prediletta dal turismo nazionale e internazionale.  Qualche giorno fa abbiamo effettuato un sopralluogo, nella parte foriana della strada: Via Baiola, quella che s’immette direttamente nel borgo di Monterone e che versa nello stato più pietoso. Indegno di un paese che voglia dirsi civile e che non perde l’occasione di ribadire la propria vocazione turistica ogni volta che si accende un riflettore o un microfono.

Percorrendo via Borbonica in auto o in motorino, non si può fare a meno di incappare nel pericolo che provoca un manto stradale ormai completamente dissestato. Le radici dei pini ai lati della carreggiata hanno da tempo invaso la sede stradale, creando numerosi pericolosissimi dossi che, pur con il limite di velocità previsto, costringono gli automobilisti a compiere continui e rischiosi slalom. Considerato il flusso di veicoli, presente quotidianamente e destinato a intensificarsi nei prossimi mesi estivi, è evidente come il perdurare e, anzi, l’aggravarsi nel tempo di tale situazione, comporti una persistente, grave insidia alla regolare circolazione veicolare, costituendo – di fatto – un serio pericolo per l’incolumità delle persone che vi transitano.

manto stradale dissestatoLe radici degli alberi hanno ormai distrutto buona parte dei marciapiedi. Buche, parti di pavimentazione mancanti, dislivelli e sconnessioni del fondo, mettono davvero a dura prova l’incolumità di residenti e turisti, soprattutto se all’oscuro della situazione e magari passeggiano distratti, guardando il panorama o la natura attorno. Tutta colpa dei pini? Affatto. Esistono diverse tecniche a basso costo, tutte valide, per evitare il riaffioramento delle radici e i danni al manto stradale: si va dall’uso di tessuti geotessili, posti sotto il manto e ai lati della buca d’impianto, impedendo quindi lo sviluppo orizzontale dell’apparato radicale, alla creazione di uno strato “isolante” costituito da sabbia e pietrisco, “ostile” alla crescita delle radici. Una doverosa cura delle alberature con potature periodiche è utile a scongiurare l’improvvisa caduta dei rami. Il problema, in altri termini, non sono i pini, ma l’assenza di manutenzione stradale e cura del territorio. Soprattutto se lontano dal centro cittadino. Anche questo è un fatto.

Immondizia lasciata per stradaNon finisce qui. I marciapiedi sono inagibili anche a cause delle erbacce. Piccoli arbusti o veri e propri praticelli naturali coprono completamente il passaggio, costringendo il pedone a invadere la sede stradale con il pericolo di incorrere in un incidente quando le automobili procedono a forte velocità. I marciapiedi sono impraticabili anche per altri motivi. Dove non arriva la natura, ci pensa l’uomo. Ad asfaltare a piacimento, parcheggiare dove vuole (anche con grossi furgoni), invadere l’area con le pretese più arbitrarie. Il colpo di grazia arriva dalla sporcizia. Chi decide di raggiungere a piedi il centro di Forio da Via Borbonica e Via Baiola si trova di fronte uno scenario avvilente: sacchi di immondizia, bottiglie, cartacce, scatoloni, lattine, fazzoletti, secchi di plastica, vecchi giocattoli, ferraglia arrugginita, scheletri di televisori e perfino un termosifone abbandonato. È tutto lì: una discarica a cielo aperto. Ecco come una semplice e rilassante passeggiata può trasformarsi in un vero e proprio incubo. “Sono mesi, forse anni che i marciapiedi si trovano in queste condizioni,  ricoperti di rifiuti e vegetazione – commenta un residente  della zona – la sporcizia e l’immondizia sono dovuti soprattutto all’inciviltà di alcune persone che non rispettano i tempi e i modi della raccolta differenziata, ma le istituzioni non fanno nulla per arginare questo fenomeno. Più volte abbiamo segnalato la questione ai vigili urbani, ma nessun serio provvedimento è stato preso finora”.

Via Borbonica è ormai una terra di nessuno fuori da ogni tipo di controllo. A parte la telenovela con Ego Eco, il sindaco di Forio Francesco Del Deo e la sua amministrazione continuano a dare segni di immobilità e sfiancante attendismo. Optando per un comodo scaricabarile su “chi ci ha preceduti”. A un anno dall’insediamento, nessuno dei problemi spinosi per il paese (porto, coste, inquinamento, area di trasferenza) è stato davvero affrontato. Figuriamoci intravederne la risoluzione. Tutto è fermo. Il primo cittadino di Forio deve consultarsi con l’intelligentia locale (sic!) pure per decidere se uno spettacolo gli è piaciuto o no. Anche questo – purtroppo – è un fatto.

 


Get Widget